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Lui & Lei

Evado dalla prigione Covid


di Membro VIP di Annunci69.it pierpatty6151
09.12.2020    |    8.165    |    5 9.8
"Dopo alcuni istanti, scrutando il pavimento, inizia a parlare con voce bassa e calma: “Abito in questo palazzo da circa un anno..."
Non ne posso più della scrivania, in ufficio, del divano, in casa, dell’aspettare l’alba nel solitario lettone, del replicare tutto uguale giorno dopo giorno.
Ho la necessità fisica di spruzzi salmastri in faccia. Ho voglia del concerto delle onde.
Ho deciso! Evado dalla prigione Covid. E’ Sabato e non voglio né programmi né mete prefissate.

Senza ricordarmi dove sono passato, mi fermo nel parcheggio ex tracciato ferroviario. È praticamente vuoto. Si apre la portiera, il salmastro vento entra dandomi un frizzante ben arrivato.
Voglio camminare nel vento, dimenticandomi, almeno per un po’, della scrivania, del divano, del lettone.

La passeggiata è semi deserta. Due anziani innamorati si abbracciano riscaldandosi, e ricordano i loro bei tempi giovanili. Una giovane copia si bacia nel vento. Un runner in pantaloncini e maglietta corre nel vento.
Nonostante tutto c’è ancora la normalità.

Per ripararmi dal freddo vento m’infilo nell’ex galleria ferroviaria, con pochi risultati. La oltrepasso. Arrivo al sentierino che sale in vetta al piccolo promontorio. Senza buon senso, inizio la salita, attratto dall’emozionante panorama del golfo in burrasca.

Cammino contornato da spinosi cespugli e maestosi pini marittimi che ballano col vento.
Il sentierino scivoloso è diversissimo da quest’Estate, quando era percorso da chiassoni turisti in costume e ciabatte.
Le piccole piazzuole tra i pini e i cespugli sono desolatamente deserte, aspettando il caldo per accogliere belle tette e magnifici culi nudi a rosolarsi al sole, e amoreggiare dopo il tramonto.

Bei ricordi d’erotiche emozioni, da riprovare, ma a inizio Novembre è impossibile, peccato, aspetteremo la calda Estate, sperando che il maledetto Covid sparisca.

Immerso nei miei pensieri, e nella faticosa salita, mi accorgo di una macchia arancione.
Ma che ci fa una macchia arancione lì? E’ innaturale.
Quella macchia è in basso, a una trentina di metri da me, è seminascosta dai cespugli, è appoggiata a un pino semi abbattuto. Sarà un costume abbandonato?
Incuriosito, mi fermo, osservo meglio quell’arancione innaturale, scoprendo che è una giacca a vento, indossata da un qualcuno che si dimena. Guardo meglio. Vedo anche le braccia rivolte in basso, con le mani trattiene un qualcosa che si muove ritmicamente.

Che ci fa lì quel tipo? Si sentirà male? Vorrà farla finita gettandosi in mare?
Sto per urlargli un’offerta d’aiuto. Quando, una giacca verde scuro risale lungo il corpo arancione. Vedo corpi abbracciarsi, bocche che si cercano e s’incollano. Le preoccupazioni svaniscono.
Sia la lontananza sia i cespugli m’impediscono di distinguere se sono una coppia canonica o due uomini. Di certo sono due “imboscati” con un’irrefrenabile voglia di godere, per scopare nel gelido vento.

Comunque beati loro. Non sarà carino, ma li invidio con tutte le mie voglie arretrate. E sì, è dalla scorsa primavera che non vedo, o accarezzo corpi nudi. Solamente filmati e fotografie mi hanno suggerito e accompagnato nei miei solitari godimenti. Che squallore, ma sono sopravvissuto anche a questo.

Mi accendo una sigaretta, e continuo a seguire l’evolversi della situazione.
La coppia si bacia, si abbraccia, si accarezza. Avrei voglia di raggiungerli e godere con loro, il mio Giacomino inizia a reagine, e sto provando a consolarlo accarezzandolo da sopra i pantaloni.

“Che cazzo guardi… schifoso guardone…Vai via stronzo!”

L’urlo colpisce diritto come una frustata. Mi giro verso l’alto del sentiero, e vedo che l’urlatore è un’irriconoscibile donna, ha la mascherina d’ordinanza. Comunque è incazzata nera, e si sta avvicinando brandendo pericolosamente un grosso ramo.
Mi raggiunge, continua a urlarmi insulti. Mi spinge facendomi scivolare, cado nel fango. Cerca di colpirmi con il ramo, pro il colpo con il braccio, mi rialzo, Gli tolgo il ramo dalle mani, e lo getto via.

La guardo incredulo, lei urla, è fuori di testa, non posso far altro che mettermi a distanza di sicurezza, scendendo di alcuni metri. Lei si ferma, continuando a urlare minacce e improperi.

Scendo fino alla successiva curva del sentiero. La pazza riarmatasi del ramo si ferma, presidiando la posizione. Senza accorgersi che da dove sono, vedo ancor meglio i due imboscati, ignari di che sta succedendo sul sentiero.

I due amanti hanno cambiato posizione. La giacca verde scuro ha la pancia appoggiata al pino, e l’arancione la sovrasta. Vedo il nudo culo dell’arancione che pompa alla grande sul verde, che contraccambia ampliandoli i colpi.
Caspita stanno trombando alla grande, incuranti del mondo.

Che voglia di unirmi a loro, Ma sta arrivando l’urlante pazza, armata di ramo. Il buon senso m’impone di andarmene definitivamente.

Arrivato al riparo della mia macchinina, per curiosità decido aspettare se il terzetto scende, ma so che potrebbero anche passare dall’altra parte della galleria.
Dopo una mezzoretta mi scatta un po’ di fame di focaccia e farinata. Al diavolo quei tre.
Me ne vado a cercare un “Fainottu” aperto. Dopo vari giri per i vuoti viali ne trovo uno aperto.
Posteggio, scendo e sto per entrare nel negozio, quando la pazza ne esce, seguita dalla giacca verde. Lei riconoscendomi mi scaglia un’occhiata fulminante, ma fortunatamente prosegue impettita, seguita dalla giacca verde. Pericolo scansato.
Aspetto che si allontanino, e finalmente posso ordinare focaccia farcita con farinata calda, una vera prelibatezza.

Il resto della giornata trascorre incolore sul divano.

---///---

E’ Domenica, metà mattina, sono ancora nel mio caldo pigiama, e con l’indispensabile aiuto di una tazza di caldo caffè, sto cercando di riconciliarmi con la nuova giornata festiva.
Il campanello della porta mi strappa dalla sonnolenza. con una mentale imprecazione, apro la porta.

Mi ritrovo di fronte l’inquilina del primo piano, in vestaglia da casa, di un rosa pallido e fiorellini, abbottonata fino sotto il collo.

Cercato un sorriso di circostanza, chiedo:
“Buongiorno, a che devo questa sorpresa?”

Lei, con voce seria e modificata dalla mascherina chirurgica:
“Se non disturbo, ho necessità di parlarle e chiarire alcune cose. Mi scuso per il vestiario e l’orario ma è urgente. E' importante”.
Colto alla sprovvista, non riesco a reagire in nessun modo, e rimango come un ebete lì davanti a lei.
Lei, con occhi speranzosi, mi ripete che non vuol disturbare, ma ha un’inderogabile situazione da chiarire con me. E parlando s’intrufola tra me e lo stipite, entrando in casa mia. Fermandosi subito dentro, in mia attesa.
Cercando di riprendermi dalla sua intrusione, e anche molto incuriosito. Chiudo la porta e la prego di seguirmi nel salotto-cucina.

Tanto per rompere la tensione, anch'io mi scuso per essere in pigiama, ma non aspettavo nessuno.
La invito a sedersi sul divanetto a due posti, e le offro un caffè, che accetta volentieri.
Io armeggio con la caffettiera e lei aspetta silenziosa.
Finalmente le tazzine arrivano. Il silenzioso imbarazzo di entrambi è palpabile. Sposto una seggiola davanti a lei e mi siedo, sperando che lei mi dica che deve chiarire.
La guardo bere il suo caffè.

Non l’avevo mai vista sotto l’aspetto fisico ma solo come vicina di casa. E anche adesso con quella vestaglia casalinga è poco attraente. E' seduta con le ginocchia appiccicate, e le spuntavano solo pochi cm dei muscolosi polpacci. Sotto la spessa vestaglia ci dovrebbe essere un corpo leggermente in sovrappeso. Difficile dire se armonioso o meno. I seni non sono pronunciati, forse non ha messo il reggiseno. I capelli scuri di colore indefinito sono raccolti in una coda. Occhi neri vispi e attenti, che mi ricordano qualcuna, ma non so chi. Senza trucco. Difficile darle un’età, ma direi intorno alla sessantina.

Il silenzio continua, e tocca a me sbloccare la situazione:
“Mi ha detto che deve parlarmi urgentemente, di che si tratta?”.
“Ma veramente non mi ha riconosciuto?”
“So che dovrebbe chiamarsi Anna, ed è l’affittuaria del primo piano, e abita con un uomo, forse è suo marito? Non so altro, Sa non sono curioso”.
“Lei è poco fisionomista! Anche se avevo la mascherina, avrebbe dovuto riconoscermi… Sono la signora che ieri mattina le voleva rompere la testa a bastonate”.

Gelo nelle mie vene.
Anna riprende a parlare.
“La prego non m’interrompa, è difficile parlarne con un estraneo".

Tiro fuori una sigaretta e ne offro una anche a lei, gliela accendo, rimanendo in silenzio aspetto che prosegua. Dopo alcuni istanti, scrutando il pavimento, inizia a parlare con voce bassa e calma:
“Abito in questo palazzo da circa un anno. Sono arrivata dopo la sentenza di separazione, che ha chiesto e voluto il mio ex. Accusandomi di tradimento con un suo conoscente”.
“Sì, ma questo che centra con ieri mattina”.
“Mi lasci parlare…Deve sapere che circa un paio di anni fa scoprii il mio ex che si faceva inculare dal suo migliore amico d'infanzia, sul nostro letto matrimoniale. Dallo schifo, scappai da casa, rifugiandomi da mia madre. La quale, senza indagare più di tanto sulle motivazioni della mia fuga, mi accolse in casa sua. Con Lei vissi alcuni terribili mesi, ero sull’orlo di un grave esaurimento nervoso, ero schifata della vita e spesso pensavo a farla finita. Mentre il mio ex mi martellava sia con SMS di scuse, sia con richieste d’incontri per chiarire la situazione, che mai accettai.
In quel periodo uscivo a malavoglia solo per andare in fabbrica a lavorare. E sempre in quel periodo fu assunto un nuovo caporeparto. Era ed è un bell’uomo, sempre gentile, giovanile e con la battuta spiritosa pronta. Da subito mi piacque, ma respingevo la sola idea di essere toccata da un uomo. Tuttavia sia la forzata astinenza, sia l’età che avanzava, cedetti e iniziammo a vederci fuori del lavoro”.

Io continuavo a non capire la correlazione tra quello che raccontava e il volermi bastonare Comunque l'ascoltavo attentamente.

“ci incontravamo sempre con amici, conoscenti o parenti presenti, che potessero certificare che eravamo una coppia. ma sesso nulla. Io non spingevo e lui non lo ricercava. Insomma eravamo una coppia “bianca”. Io continuavo ad abitare con mia madre, e lui in un mini appartamento. Questa situazione andò avanti per quasi un anno. Fino quando una sera lo misi alle strette. E mi dovette confessare la sua omosessualità. Che viveva una storia parallela con un uomo, che sopportava la nostra situazione solo per salvaguardare la faccia e il posto da caporeparto”.

Una grossa lacrima colò sulla sua guancia. Avrei voluto trovare le parole per rincuorarla, ma mi usci solo un:
“Cazzo non te ne va bene una!”

Mentre lei sembrava un poco più sollevata per essere riuscita a raccontare una parte intima della sua storia.

Dopo un sospirone riprese animo e ricomincia a raccontare:
“Dopo la sconvolgente rivelazione, passai giorni frustanti, non sapevo che fare, lo vedevo al lavoro, parlavamo come se nulla mi fosse stato rivelato. Tuttavia mi rodevo dentro per la mia sfortuna, che continuava a perseguitarmi.
Fu lui a propormi di affittare l’appartamento, al primo piano di questo palazzo, il quale avendo due camere con bagno, ci consentiva di vivere come coppia normale e poter accogliere chi ci va, in assoluta riservatezza. Accettai la situazione per andarmene via dalla casa di mia madre e anche per provare a ricominciare e darmi una nuova possibilità”.

Più parlava più fumava, e più si sistemava comodamente sul divanetto, allungando e aprendo leggermente le gambe. La vestaglia si apriva sempre più lasciando le gambe nude, fino a che lo spacco si aprì del tutto e spunto anche il bianco triangolino delle mutandine.

Caspita mi ritrovo con davanti a una sessantenne, con una repressa carica sessuale da scaricare con qualcuno, che sta raccontandosi a me, forse senza sapere il perché.
Cosa da far rizzare il tutto, ma la situazione è talmente delicata che nulla si risveglia.

Comunque sia, non mi ha ancora detto che ci faceva ieri sul promontorio, e soprattutto il motivo per cui mi voleva randellare e mandare via così a malo modo.
Per cui, accendendomi l’ennesima sigaretta, le chiedo:
“Scusa, mi hai raccontato la tua triste storia, ma non mi hai ancora spiegato perché ieri mi hai aggredito mandandomi via dal promontorio”.
“E' per spiegarti, e scusarmi, che ho voluto vederti! Ma non è facile parlarne”.
“Dal coraggio, non ti giudicherò di certo”.

Prende una pausa, come per cercare le parole giuste. Finalmente alza la testa e mi guarda diritto negli occhi, e incurante della mia attenzione per le sue mutandine, e inizia a parlare in modo calmo.
“Ieri mattina, l’uomo con cui convivo m’informa che ha un appuntamento con uno che ha conosciuto su una chat erotica. Tuttavia gli ispira poca fiducia, per cui gli ha fissato l’appuntamento in un bar. Condivido la sua decisione. S’infila una giacca a vento arancione e usciamo insieme. Lui va al suo appuntamento ed io a far spese al mercatino rionale. Fatto velocemente gli acquisti, decido di rilassarmi con una passeggiata sul lungo mare di Xxxxx.
Arrivata sul parcheggio sopraelevato, vedo il mio convivente insieme a un tizio con una giacca verde scuro, che mi sembra di conoscere.
E sicuro che conosco quella giacca verde scuro l’ho regalata io qualche Natale fa, a quello stronzo del mio ex. Ed è proprio lui insieme al mio coinquilino.
Insieme s’incamminano verso la galleria. Voglio vedere che fanno, li seguo a distanza. Li vedo salire sul promontorio e imboscarsi dove li hai visti tu.
Io ho proseguito nascondendomi poco più in alto. Ho visto le loro performance sessuali. Si sono spompinati a vicenda. Si sono inculati a vicenda. E nonostante il vento e il freddo godevano molto, ma questo non m’importava erano solo cazzi loro. E sinceramente lo spettacolino non mi eccitava.
Stavo andando via quando sei spuntato tu.
E sono stata presa dal panico, non potevo farti scoprire il mio segreto. Vivere come coppia, con un omosessuale che s’incula il mio ex marito. Mi sono sentita perduta, ed ho reagito in modo sconsiderato e stupido nei tuoi confronti.
Ora sai tutto. Puoi giudicarmi come vuoi, ma sentivo la necessità di spiegarti la mia situazione. E chiederti perdono per come mi sono comportata”.

Il silenzio ci avvolge.

Non so che dire! Lei ha detto tutto ciò che voleva che sapessi!

Le mutandine bianche sono sempre in bella vista. Si offre a me? Non credo! E anche se fosse, non è il momento di approfondire! Sarò scemo ma sono fatto così. La guardo negli occhi, le sorrido e non mi esce una parola. Lei aspetta una mia reazione e apre ancor di più le gambe. La sagoma della fica si staglia sotto le mutandine.

Il tempo è trascorso veloce! L’orologio sul muro segna quasi le tredici. Non so come sbloccare la situazione. D'altronde vorrei che restasse per spogliarla, per farla sentire ancora donna desiderata.

Ideona! Forse anche balorda! E senza pensarci sopra le chiedo:
“Vista l’ora, che ne dici se mangiassimo insieme due spaghetti alla carbonara?”
Mi guarda esterrefatta e per la prima volta sorridere:
“Ma io non sono capace a farli! Se cucini tu, ci sto!”.

Non rispondo, e vado ai fornelli.
Sto smarmittando da alcuni minuti, quando sento le sue braccia che mi stringono da dietro, e mi chiede se può farsi una doccia, che stamane non ha avuto voglia di farla.
Le indico il bagno, e dove trovare gli asciugamani. Lei sparisce in bagno.
Apparecchio, cucino, preparo il vino, e finalmente lei esce dal bagno. E’ avvolta nel mio accappatoio di seta nera. Ha l’asciugamano arrotolato sulla testa. Ha il viso disteso e con il sorriso di chi si è tolto un grossissimo peso dall’anima.
E’ un’altra donna.

Metto su l’acqua e nell’attesa che bolla vado a farmi una veloce doccia. Bagno schiuma profumato, altro accappatoio, e sono pronto a presentarmi a lei.
Non so come andrà, ma di certo voglio che sia un momento tutto suo e che possa decidere e per quanto sia possibile trascorrere una Domenica pomeriggio da ricordare per sempre.

La carbonara è pronta, classico brindisi di buon appetito. E si mangia. Poche parole, tanti sguardi promettenti, e sorrisi birichini.
Finito di mangiare, insiste per lavare i piatti, e mi comanda di sedermi sul divanetto ad aspettarla che farà presto.

“Hai un qualcosa di forte per festeggiare la nostra conoscenza”.
“Whisky va bene?”.
“Si ottimo”. E si siede, sul divanetto, mentre io vado a prendere Whisky e bicchierini. Gliene sporgo uno già pieno. Lei lo getta giù di colpo. Ride felice. L’accappatoio si allegra le gambe escono. Il triangolino bianco non c’è più. Slaccia la cintura allarga tutto l’accappatoio e mi offre il suo burroso corpo nudo.
“Veni, ti desidero, ti voglio tutto mio”.

Allunga le mani sotto il mio accappatoio, lo trova, lo prende delicatamente in mano. Lui reagisce e s'ingrossa sotto il delicato e sessuale scapellamento. Lo tira fuori, lo osserva vogliosa, avvicina le labbra, lo lecca delicatamente, lo aspira in bocca. E duro come non mai.
Con una mano si sta accarezzando la liscia patatina.
“E no! Cosi non puoi!”.

Uscito dalla sua bocca, m’inginocchi davanti a lei, che si spinge al massimo fuori dal divanetto.
Ho la sua figa davanti, è senza un pelo, le labbra rose nascondono il bottoncino, che aspetta ansioso.
Mi mette le gambe sulle spalle e mi attira con forza nel paradiso. Arrivo! Mi basta allungare la lingua per sentire il suo calore, la sua voglia repressa. Le grandi labbra cedono volentieri alla mia smaliziata lingua, che scivola verso il bottoncino, per ritornare giù e poi entrare il più possibile nel già allagato buchino.
Lei smania di godimento represso da troppo tempo.
Rischio il soffocamento in paradiso, ma lei non mi molla. E’ una sorgente allagata di nettare femminile. Ed io continuo a ispezionarle il paradiso. Arrivando anche nella retrovia, dove il buchino oscuro accoglie la mia lingua con gioia. Vuole essere protagonista del suo totale piacere.
Lei si scioglie sotto le mie carezze linguali. Ulula al mondo il suo piacere. Mi blocca ulteriormente la lingua dentro il suo laghetto. Finalmente, con un ululato più forte gode con tutto il corpo.
Di colpo tutto il suo corpo si rilassa, scavalla le gambe e sembra entrata trans. Le accarezzo dolcemente il viso. A occhi chiusi gode ancora del piacere ricevuto.
I minuti passano nel silenzio totale. Lei si è accoccolata ancora nuda su di me, io gli accarezzo dolcemente il viso, e ci addormentiamo abbracciati.
Il freddo ci sveglia, il camino è quasi spento. La guardo è infreddolita, si rannicchia nell’accappatoio. Corro a ravvivare le braci con nuovi ceppi di legna.
Mi guarda sorride ed esclama:
“Grazie… ma adesso tocca a te…”.

Ma questa è un’altra storia.
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